sabato 12 aprile 2014

A PROPOSITO DI "L'ESTATE DI NEVE"


L'aquarello originale della locandina del Film
Abbiamo chiesto al Prof. Fabio Pruneri, che ha vissuto la storia del nostro Oratorio in prima persona ed oggi insegna Scienze dell'Educazione presso l'Università di Sassari e la Cattolica di Brescia, un commento, da esperto, al film "L'Estate di Neve". Ringraziamo Fabio per la sua disponibilità e per le sue parole. 
Buona lettura!

Accendete la televisione, cercate un programma in cui ci siano dei giovani e degli adolescenti; collegatevi al computer, inserite la parola “teenager”; recatevi in libreria, chiedete qualche libro sull’età dai 13 ai 18; scambiate due parole con qualche insegnante… il 95% delle risposte che otterrete metteranno in stretta relazione questo particolare momento della vita a concetti come: problema, allarme, rischio. Qualche tempo fa, una nutrita lista di intellettuali firmò addirittura un appello intitolato “Emergenza educazione” mettendo insieme un po’ tutto: la crisi della famiglia, le difficoltà della scuola, la perdita dei valori. Nessuno chiese di apporre il mio autografo, ma non l’avrei fatto se me l’avessero chiesto. Diciamo che la penso come gli autori del film L’estate di Neve. Come loro io credo che bisogna stare dalla parte di quel 5% che considera i ragazzi non un dramma, ma un’occasione.
Io appartengo ad una generazione che non ha combattuto la guerra mondiale, non ha fatto il ’68, che non può dire d’avere partecipato alla storia con la “S” maiuscola. Nel mio piccolo, però, io e molti altri una storia l’ho vissuta: è quella della comunità di San Zeno e di un oratorio costruito dalle fondamenta grazie alla partecipazione di tanti adulti, giovani, bambini.
L’estate di Neve - un film, non un documentario come ci è stato ricordato in occasione della prima - ha cercato di rendere, in modo abbastanza fedele, lo spirito di quell’avventura. Nell’ottobre 1978 avevo 11 anni e per almeno un quindicennio ho sudato, corso, pregato, animato, in “cascina” così chiamavamo l’oratorio (più tardi definito anche “cortile dei sogni”). Ho quindi vissuto il debutto di questa pellicola con viva emozione. Per la verità temevo che il prodotto si presentasse con i limiti e le incertezze di tanti spettacoli oratoriani: grande cuore e molta approssimazione. Invece, con sorpresa vedevo, attraverso l’attenzione degli spettatori, sincera partecipazione e trasporto e mi rendevo conto che la sala era quella di un vero cinema e le musiche, la fotografia, le riprese avevano una professionalità e una cura che raramente ho trovato in produzioni “amatoriali”.
Mi sono detto: “Questi sono davvero dei grandi!” Migliori di quanto lo siamo stati noi e altri prima di noi. Il regista, gli sceneggiatori, gli attori sono giovani capaci di interpretare, senza pregiudizi, le esigenze di comunicazione e mi verrebbe da dire di evangelizzazione nella nostra società secolarizzata e post-moderna. L’estate dell’adolescente Neve catapultata dalla grande metropoli alla cittadina della basse è un’estate problematica: c’è la malattia, il lutto, la rottura di un’amicizia, la solitudine, ma c’è anche la gioia, l’incontro, l’accoglienza, la lealtà. Insomma la vita, senza moralismi, senza dogmatismi. Un’esistenza nella sua credibile quotidianità. Sta in questa normalità, nell’ironia e nella lievità il bello del film che però non rinuncia a comunicare la sobrietà, persino la radicalità del messaggio evangelico. Un film che non fa sconti neppure  dei molti tic del nostro oratorio, ma che non appesantisce e non mugugna. Insomma pedagogia dell’autenticità anche attraverso la grande finzione del cinema.
Non essendo un critico non intervengo sulle scelte del regista. Il cast poco più che trevigliese suggeriva maggiore prudenza nel richiamare, proprio ad inizio film, Django Unchained e gli spaghetti western. Forse nei suoi panni mi sarei attenuto all’aulica regola della brevità, che, almeno nel parlato, afferma: “ogni relazione è bella il doppio se dura la metà!”, tuttavia egli, coscientemente, ha preferito il “ritmo più basso”. Quello che occorre sottolineare è, in questo caso, non l’uno o l’altro difetto, ma la capacità di puntare in alto e di lavorare con serietà e dedizione a qualche cosa che appariva decisamente avventata e al di fuori della portata di un volenteroso gruppo di educatori, quali sono i promotori di questo film.
In conclusione, L’Estate di Neve  mostra come si costruisce una comunità “from scratch”, cioè partendo dagli elementi base, senza nulla di artificiale e precostituito. Ed è in questo rispecchiamento, e nella coralità della costruzione del film, che ci si rende conto che sono già passati 35 anni, ma che la semente gettata con abbondanza ha prodotto molto frutto. 



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