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L'aquarello originale della locandina del Film |
Buona lettura!
Accendete la televisione, cercate
un programma in cui ci siano dei giovani e degli adolescenti; collegatevi al
computer, inserite la parola “teenager”; recatevi in libreria, chiedete qualche
libro sull’età dai 13 ai 18; scambiate due parole con qualche insegnante… il
95% delle risposte che otterrete metteranno in stretta relazione questo
particolare momento della vita a concetti come: problema, allarme, rischio.
Qualche tempo fa, una nutrita lista di intellettuali firmò addirittura un
appello intitolato “Emergenza educazione” mettendo insieme un po’ tutto: la
crisi della famiglia, le difficoltà della scuola, la perdita dei valori.
Nessuno chiese di apporre il mio autografo, ma non l’avrei fatto se me
l’avessero chiesto. Diciamo che la penso come gli autori del film L’estate di Neve. Come loro io credo che
bisogna stare dalla parte di quel 5% che considera i ragazzi non un dramma, ma
un’occasione.
Io appartengo ad una generazione
che non ha combattuto la guerra mondiale, non ha fatto il ’68, che non può dire
d’avere partecipato alla storia con la “S” maiuscola. Nel mio piccolo, però, io
e molti altri una storia l’ho vissuta: è quella della comunità di San Zeno e di
un oratorio costruito dalle fondamenta grazie alla partecipazione di tanti
adulti, giovani, bambini.
L’estate di Neve - un
film, non un documentario come ci è stato ricordato in occasione della prima - ha
cercato di rendere, in modo abbastanza fedele, lo spirito di quell’avventura. Nell’ottobre
1978 avevo 11 anni e per almeno un quindicennio ho sudato, corso, pregato,
animato, in “cascina” così chiamavamo l’oratorio (più tardi definito anche “cortile
dei sogni”). Ho quindi vissuto il debutto di questa pellicola con viva emozione.
Per la verità temevo che il prodotto si presentasse con i limiti e le incertezze
di tanti spettacoli oratoriani: grande cuore e molta approssimazione. Invece,
con sorpresa vedevo, attraverso l’attenzione degli spettatori, sincera partecipazione
e trasporto e mi rendevo conto che la sala era quella di un vero cinema e le
musiche, la fotografia, le riprese avevano una professionalità e una cura che
raramente ho trovato in produzioni “amatoriali”.
Mi sono detto: “Questi sono
davvero dei grandi!” Migliori di quanto lo siamo stati noi e altri prima di noi.
Il regista, gli sceneggiatori, gli attori sono giovani capaci di interpretare,
senza pregiudizi, le esigenze di comunicazione e mi verrebbe da dire di
evangelizzazione nella nostra società secolarizzata e post-moderna. L’estate
dell’adolescente Neve catapultata dalla grande metropoli alla cittadina della
basse è un’estate problematica: c’è la malattia, il lutto, la rottura di
un’amicizia, la solitudine, ma c’è anche la gioia, l’incontro, l’accoglienza,
la lealtà. Insomma la vita, senza moralismi, senza dogmatismi. Un’esistenza
nella sua credibile quotidianità. Sta in questa normalità, nell’ironia e nella lievità
il bello del film che però non rinuncia a comunicare la sobrietà, persino la
radicalità del messaggio evangelico. Un film che non fa sconti neppure dei molti tic del nostro oratorio, ma che non
appesantisce e non mugugna. Insomma pedagogia dell’autenticità anche attraverso
la grande finzione del cinema.
Non essendo un critico non intervengo
sulle scelte del regista. Il cast poco più che trevigliese suggeriva maggiore
prudenza nel richiamare, proprio ad inizio film, Django Unchained e gli spaghetti western. Forse nei suoi
panni mi sarei attenuto all’aulica regola della brevità, che, almeno nel
parlato, afferma: “ogni relazione è bella il doppio se dura la metà!”, tuttavia
egli, coscientemente, ha preferito il “ritmo più basso”. Quello che occorre
sottolineare è, in questo caso, non l’uno o l’altro difetto, ma la capacità di
puntare in alto e di lavorare con serietà e dedizione a qualche cosa che
appariva decisamente avventata e al di fuori della portata di un volenteroso
gruppo di educatori, quali sono i promotori di questo film.
In conclusione, L’Estate di Neve mostra come si costruisce una comunità “from
scratch”, cioè
partendo dagli elementi base, senza nulla di artificiale e precostituito. Ed è
in questo rispecchiamento, e nella coralità della costruzione del film, che ci
si rende conto che sono già passati 35 anni, ma che la semente gettata con
abbondanza ha prodotto molto frutto.
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